Casa

Per il riconoscimento del diritto di abitazione la compagna superstite non residente anagraficamente nell'immobile di proprietà del compagno defunto può dimostrare il suo status di convivente mediante un'autocertificazione.

Il diritto, però, non può essere inserito nella dichiarazione di successione: lo chiarisce l'Agenzia delle Entrate, sollecitata da un'istanza di interpello, con la risposta n. 37/2018. L'Amministrazione ricorda che la legge 76/2016 stabilisce espressamente che "in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore a due anni, e comunque non oltre i cinque anni" (articolo 1, comma 42).

Tale riconoscimento è teso a garantire la tutela del diritto a continuare a vivere nella casa dove si è svolto il programma di vita in comune dalle pretese restitutorie dei successori del defunto, per un lasso di tempo ragionevolmente sufficiente a consentite al superstite di provvedere in altro modo a soddisfare l'esigenza abitativa.

Se, come nel caso oggetto dell'istanza di interpello, la compagna superstite non ha la residenza anagrafica nella casa di proprietà del de cuius, ai fini del diritto di abitazione lo status di convivenza può essere riconosciuto sulla base di un'autocertificazione resa ai sensi dell'articolo 47, Dpr 445/2000.

Il diritto di abitazione, però, non può essere inserito nella dichiarazione di successione perché, nel caso specifico all'attenzione dell'Amministrazione, il convivente non assume né la qualifica di erede né quella di legatario dell'immobile, in quanto manca una disposizione testamentaria volta a istituirlo come tale.