Ripartire senza lasciare indietro alcuna persona. Giovanni Pedrinelli, segretario della Fnp Cisl dei Laghi, chiede un fronte comune per progettare il dopo emergenza.
Cosa insegna l’emergenza coronavirus?
«Una pagina della nostra vita resa triste da un virus invisibile e per ora incontrollabile: deve pur insegnarci qualcosa che risulti utile per il futuro. Ci dice che non siamo né onnipotenti, né immortali. La guerra tra uomo e malattie e virus continua e continuerà anche dopo che avremo trovato il vaccino. Ci insegna che possiamo improvvisamente trovarci deboli e fragili e questo ci deve aiutare a saper mettere in fila con il loro reale valore le cose che veramente contano della nostra vita. Questi giorni che ci costringono in casa fanno emergere l’importanza delle relazioni più prossime che spesso diamo per scontato e finiamo per sottovalutare. Ma anche delle relazioni esterne personali e sociali: che tristezza non poterci incontrare, parlare, stringerci la mano, baciarci, parlarci, discutere...».
Il modello di sanità è da ripensare?
«E’ il primo obiettivo che mi porrei: ridiscutere come è organizzata la sanità, non solo in Lombardia. Occorre ricordarci che la sanità è regionalizzata e che oltre l’80% del bilancio regionale è costituito dai costi della sanità. Non è possibile che ci siano tanti sistemi e riforme sanitarie quante sono le regioni. La sanità deve tornare in capo allo Stato centrale, che deve poter garantire a tutti i cittadini uguali livelli essenziali di assistenza (Lea). E’ incredibile che una regione come la Lombardia, con la sua grande riforma, si sia fatta trovare impreparata sia come strutture sia con il materiale di prima necessità (guanti, mascherine, ossigeno...) e finisca per scaricare sullo Stato centrale limiti che sono propri. Tanto vale allora decidere che tutto il Sistema sanitario nazionale torni in mano allo Stato. Va potenziata e meglio finanziata la sanità pubblica. In campo in questo periodo ho visto solo il pubblico, non ho visto la sanità privata, che si muove solo là dove può fare business e profitti. Quindi sanità pubblica, più risorse e più attenzione al rapporto al territorio, alle cure intermedie».
I sindacati chiedono massima attenzione a Rsa e Rsd: quali problemi intercettate?
«Nella realtà dell’Insubria, Como e Varese, non abbiamo avuto situazioni drammatiche come altrove. Abbiamo registrato voci molto dissonanti tra i politici locali, di chi proponeva di portarci a casa i ricoverati per difenderli del contagio, anziché preoccuparsi di attivare tutte le difese necessarie, che non sono state attuate. Ricordiamoci che la stragrande maggioranza dei ricoverati nelle Rsa sono non autosufficienti e molti sono allettati . Nelle Rsa e Rsd non ci sono solo gli “ospiti”, ma ci lavorano infermieri, medici, personale di servizio, volontari, senza dimenticare che i parenti sono sovente presenti in gran numero. Si è lasciato tutto questo mondo in balia di se stesso. Contro questa situazione e il disinteresse rispetto a questi problemi ci siamo mossi con la denuncia e il coinvolgimento delle istituzioni, con comunicati e con gli incontri con le Prefetture».
Come tutelare pazienti, ospiti e lavoratori?
«Occorrerebbe avere un criterio che è segno di umanità e di riconoscenza a un tempo, che mette al primo posto sempre le persone più anziane e più fragili e che per la loro storia, fatica ed esperienza meritano il nostro rispetto. Subito, con le prime avvisaglie del coronavirus, avremmo dovuto preoccuparci e intervenire in questi ambienti per prevenire il diffondersi del contagio su soggetti già in difficoltà, con restrizioni dei contatti, limiti alle visite, con tamponi per degenti e personale. Con un’attenzione e cura tutta speciale ».
Politica divisa sulle misure di aiuto alle varie categorie. Fiducia al Governo?
«La cosa più stupida è dividerci e fomentare divisioni. Quando si è in guerra si sta con il “generale” in campo. Non è buona cosa fare anche di questa emergenza un’o ccasione per mietere e cercare consenso. Giocare al più uno è sbagliato. Occorre tutelare chi va in difficoltà, i lavoratori con le misure che il Governo sta mettendo in campo di cassa integrazione ordinaria e non, ma anche artigiani e commercianti non devono essere lasciati soli. Stanno pagando un alto prezzo. Non dobbiamo lasciare nessuno senza tutele, stando attenti agli sciacalli che anche in queste situazioni cercheranno di trarre profitto. Dobbiamo usare bene le risorse messe in campo dal Governo per la gente e per le imprese. Tutto quanto spendiamo per uscire dalla crisi e poter riprendere è speso bene, ma non dimentichiamo che va a sommarsi con l’alto debito italiano».
Cosa rischiano i pensionati?
«Il rischio più grosso è la salute, come ci raccontano i dati che ci comunicano i mass media tutte le sere. Obiettivo primo è salvare la pelle, quindi evitare di esporsi al contagio. Io resto a casa è il nostro impegno prioritario. E dobbiamo evitare che l’emergenza ci isoli ancora di più, dobbiamo farci forza per non deprimerci. Chi è solo rischia di non riuscire a gestirsi in autonomia, per la spesa e i servizi essenziali. I Comuni devono farsi carico di queste situazioni precarie».
Attesa di risposte concrete dall’Europa: l’Unione è a rischio?
«Dalle crisi e dalle emergenze si può anche uscire migliori di prima. Bisogna volerlo. L’Europa capisca che la situazione è totalmente cambiata: di fronte a problemi nuovi e così pesanti e imprevisti non bastano i vecchi schemi per affrontarli. Occorre più solidarietà tra i popoli: dall’emergenza si esce insieme, nessuno ce la può fare da solo. I problemi emersi, i contrasti tra il nostro Paese e altri, le polemiche sulle scorrette uscite della Bce e della presidente della Commissione europea, sono gravi e denotano poca sensibilità e scarsa visione politica. Vorrei sperare che siano più segni di inesperienze, gaffe corrette subito il giorno dopo. Vedo una forte determinazione dei nostri rappresentanti in Europa, non solo del nostro Governo. Soprattutto vorrei evidenziare su questo tema (ma anche su altri) la forte, autorevole e alta voce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ciò mi fa ben sperare, perché abbiamo bisogno dell’Euro pa anche per la ripresa».