Pubblichiamo una "lettera al Direttore" scritta dal coordinatore della RLS di Varese Mariuccio Bianchi ed indirizzata al Direttore della Prealpina, per la pubblicazione nell'apposita sezione del giornale dedicata alla corrispondenza coi lettori.
Non c’è bisogno di scomodare studiosi e libri per sapere che la volgarità nel linguaggio è ovunque intorno a noi ed esiste da sempre.
Fin dall’antichità la gente comune - quel popolo o, se vogliamo, quella plebe tanto corteggiata oggigiorno dai politici nostrani - esprimeva in tal modo schietto, e magari offensivo, pulsioni ed emozioni di rabbia, disgusto, sorpresa, paura.
Peraltro, oltre al popolo, anche artisti e poeti ricorrevano a parole appartenenti a quello stile umile o basso, usato perfino da Dante quando nell’Inferno per parlare di Taide, cortigiana o meretrice d’alto bordo che dir si voglia, usava termini come puttana, unghie merdose, sozza; o, sempre Dante, quando scriveva “avea del cul fatto trombetta” riferendosi ad una scoreggia da parte di un diavolo del suo Inferno.
Non intendiamo scomodare altri grandi della letteratura greca e latina, a partire da Omero per arrivare a Giovenale, maestro della satira violenta, dell’invettiva e del politicamente scorretto.
Se poi veniamo a tempi più vicini a noi, non scordiamo Pasolini, che per dar voce mimetica - di rappresentazione identica o vicina alla realtà dei suoi personaggi - usava il romanesco dei ragazzi di vita delle degradate periferie romane.
Sarebbe peraltro interessante capire come mai la volgarità linguistica è spesso associata al sesso (qualcuno ha scritto che si tratta di un disturbo del sistema nervoso centrale in particolari situazioni di emotività o di stress), ma non è di questo che voglio parlare. Preferirei svolgere un altro ragionamento: il linguaggio volgare, chiamato da scaricatore di porto, da un lato era usato, a causa anche del basso livello di istruzione, da lavoratori costretti a una vita grama e faticosa; dall’altro era proprio anche di scrittori e di intellettuali per dare particolare forza e significatività artistico-poetica ai loro testi.
Oggi invece volgarità e turpiloquio, oltre che sulla bocca di adolescenti e persone in età, sono appannaggio di politici, professori, attori, giornalisti, divi TV.
Basti pensare a Vittorio Sgarbi, intellettuale intelligente e spiritoso che però umilia le sue doti con espressioni indegne di lui; oppure basta assistere ad alcuni dibattiti parlamentari tra forze politiche avversarie o ad alcuni talk-show televisivi, nei quali i conduttori sembrano divertirsi un mondo nel tentativo di far cadere i freni inibitori nel linguaggio dei politici partecipanti, perché sanno che tutto ciò fa “audience“.
Per non parlare poi di ciò che avviene in rete o su Facebook!
E che dire dei genitori che non esitano a lasciarsi andare a parolacce davanti ai figli, i quali a loro volta le ripetono tranquillamente davanti a loro e davanti agli insegnanti, molti dei quali (ho sentito dire anche questo) ci passano sopra perché le ritengono espressione di fantasia immaginifica
In quanto ai nostri politici c’è ben poco da osservare: dalla comparsa sulla scena di Umberto Bossi e della sua Lega, l’invettiva contro gli avversari o addirittura il turpiloquio aggressivo sono diventati un costume ed un’abitudine di coloro che - con le debite eccezioni - si comportano più da avventori del bar dello sport che da uomini di stato.
Secondo molti psicologi le parolacce non andrebbero demonizzate.
Anzi ci sono fior di ricerche, i cui risultati attesterebbero una maggiore sincerità e onestà da parte di coloro che si servono di parolacce e di turpiloquio, mentre, al contrario, sarebbe solo ipocrisia il politicamente corretto.
Le cose però stanno proprio in questi termini?
Mi permetto di dissentire.
Qualcuno si giustifica anche con la presunta necessità della comunicazione, per cui in un mondo in cui vince il linguaggio da social network, con la frantumazione della sintassi e il predominio delle frasi a effetto, la brevità del messaggio aggressivo ed esagerato, spesso menzognero ed offensivo, sarebbe inevitabile.
Anche il linguaggio dei politici insomma inseguirebbe i media, cercando di conquistare le prime pagine alzando il tiro e con la volgarità.
Ciò comporta una riduzione dei contenuti, una crescita degli slogan, la predilezione dei sostantivi ad effetto.
Se è vero allora che, come ho anticipato, il parlar volgare esiste da sempre, non da sempre assistiamo al’appiattirsi di gran parte delle classi dirigenti e delle cosiddette élite (ma sono veramente élite?) del nostro Paese su un registro di comunicazione verbale triviale e da taverna.
Può darsi che gli uomini di governo oggi non siano molto acculturati e padroni degli strumenti espressivi come dovrebbero essere. Forse però il male, ahinoi, è più profondo: il prevalere del linguaggio basso non può che essere lo strumento di comunicazione più consono ad una società nel cui pluralismo di sistemi valoriali non esiste più il valore della buona educazione, del rispetto reciproco e della proprietà del linguaggio!
Aggiungo: storicamente le classi dirigenti, le élite, nella loro funzione di guida morale, culturale e politica, si servivano di un linguaggio che rispecchiasse il livello di civiltà cui si voleva portare quel popolo o quella nazione
Fino a pochi decenni fa, diciamo fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica, certe manifestazioni deteriori anche nel parlare venivano risparmiate al prossimo da un senso di pudore e di buona creanza. Poi improvvisamente al posto di un linguaggio sobrio e pudico è subentrato quello del “vaffa” e del turpiloquio aggressivo.
Ho accennato a Bossi, che è poi diventato - in fatto di invettive e di aggressività verbale in stile umile e basso - maestro di tanti, a partire da Grillo; anche se tra Bossi e Grillo non saprei dire chi sia stato il maestro e chi l’allievo (non dimentichiamo una certa scurrilità di linguaggio già nel Grillo uomo di spettacolo).
Conclusione quindi un po’ amara: siamo diventati più schietti e sinceri grazie a questa conquistata libertà espressiva? Direi di no.
Anzi, a mio parere, più che di libertà parlerei di libertinismo, di volgarità e di cattivo esempio che ancora una volta la società degli adulti al potere lascia in eredità alle nuove generazioni.